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L’Esodo verso un Mondo Nuovo nella complessità del presente

Se qualcuno mi chiedesse di definire il tempo in cui viviamo con un aggettivo, probabilmente risponderei d’impulso strano. Una parola che però dice tutto e niente, un’impressione più che un concetto, certamente la sintesi di una sensazione di inquietudine, “imbarazzo”, la percezione di non stare a capirci veramente tutto, fra pandemia, guerra, riscaldamento globale, accelerazione tecnologica, crisi economica, crisi delle democrazie liberali e via dicendo: insomma, qualcosa di perturbante, per dirlo meglio.

È perturbante dunque il nostro tempo? Sì, certamente, ma è una parola che non basta. Se ci pensiamo bene – e spesso lo leggiamo sui giornali o su internet, oppure lo sentiamo in tv e in radio – la parola che viene più usata oggi in associazione al nostro tempo è «complesso». La parola «complesso» è entrata nel linguaggio comune, viene ripetuta e straripetuta, viene data per scontata, è divenuta una sorta di parola-feticcio che sta un po’ da tutte le parti, come il prezzemolo, e rischia di essere svuotata del suo significato. Ma rispetto alla realtà contemporanea non è una parola poi così scontata, anzi è fondamentale. O meglio, è fondamentale capire di cosa stiamo parlando quando parliamo di complessità.

Di solito la frase-tipo associata a questo aggettivo è «la realtà complessa del nostro tempo», o qualcosa del genere. La frase “scorre via”, è entrata d’abitudine nelle nostre orecchie, ma il rischio è che intendiamo complesso come «qualcosa di complicato», invece non è così – e per certi versi è anche pericoloso che lo sia, vedremo poi perché.

Sporadicamente sui media tradizionali e in modo molto più intenso in rete e su decine di pubblicazioni librarie, il dibattito sul presente è intenso. Essere consapevoli di quello che sta succedendo è importante come non mai, approfondire e mettere in discussione lo è allo stesso modo. Ma alla base di tutto dobbiamo capire il significato di «complesso» e «complessità». Nel suo splendido libro «Il tempo e l’acqua» (Iperborea) lo scrittore islandese Andri Snær Magnason dice che «I cambiamenti che abbiamo davanti sono molto più grandi di quelli cui la nostra mente è abituata, più impegnativi di qualsiasi nostra esperienza precedente, più complessi del nostro linguaggio e delle metafore che utilizziamo per orientarci nella realtà». In altre parole abbiamo bisogno di nuovi significati e di nuove metafore per dire il mondo.

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