I lunedì d'arte di Molte Fedi

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SBIRCIARE LA BELLEZZA 
di Rosella Ferrari

Sbirciare è un termine da bambini: sono loro che, curiosi, aprono piano una porta (un’anta, un coperchio, un cassetto...) per scoprire cosa c’è dietro. E di solito trovano tesori, perché tutto per i bambini può essere un tesoro davanti al quale sostare, gli occhi pieni di ammirazione.

Noi ora imitiamo i bambini: apriamo piano delle porte, sbirciamo all’interno e scopriamo dei tesori. Magari conosciuti, magari no. Forse soffermandoci ammirati su qualche particolare che non può sfuggire, perché è bellezza.



 

UN CANCELLO INUTILE

Anche questa settimana “sbirciamo” in Città Alta. Per la precisione ci dobbiamo spostare sul lato sud della Basilica di Santa Maria Maggiore, quello “dei leoni bianchi”, per intenderci.

Da lì, guardando verso l’ingresso laterale, scorgiamo un cancelIo, attraverso il quale possiamo accedere ad una scala di metallo (o almeno sbirciare – appunto – all’interno, se il cancello è chiuso).

Ci troviamo davanti al “tempietto di Santa Croce”, deliziosa costruzione un po’ nascosta tra l’abside della basilica e il Palazzo della Curia Vescovile. È una costruzione che risale alle prima metà dell’XI secolo, citata già nel 1133 e definita “cappella vescovile di Santa Croce” in documenti notarili di pochi anni dopo. Decorata già verso la metà del XIV secolo, divenne in parte sotterranea quando, nel 1440, si decise la costruzione di una scala che portava dentro la Curia vescovile. Nei due secoli successivi il nostro tempietto venne ulteriormente decorato e abbellito.


Il tempietto, affascinante esempio dell'architettura romanica bergamasca, è composto da due parti sovrapposte. Quella inferiore, in pietre di arenaria dei colli, è costituita da 4 lobi (praticamente 4 semicerchi uniti tra di loro a formare una croce) delimitati da lesene che si uniscono, in alto, a due a due, attraverso tre archetti rampanti. La parte superiore, ottagonale, presenta inconsuete (per il tempo) aperture rettangolari, che hanno verosimilmente sostituito le monofore, o bifore, originarie. Il piano inferiore, da secoli nascosto sottoterra, è oggi ancora visibile, dopo essere stato riportato alla luce nel corso di restauri recenti.

Sono proprio gli studi effettuati su questa costruzione che hanno reso possibile provare, senza più alcun dubbio, che il tempietto è nato come costruzione cristiana e non era invece (come si supponeva nel passato) la rivisitazione di un antico tempio pagano.
 

È molto interessante notare come gli edifici che insistono in questa zona fossero, nel passato, tutti sullo stesso piano: l’Episcopato, il tempietto/cappella, la Basilica di S. Maria Maggiore e l’aula della Curia (nella sua parte inferiore per ora non ancora visitabile) costituivano, di fatto, un unico complesso.


Gli anziani di Città Alta raccontano che il tempietto veniva aperto ai fedeli solo in occasione della Festa della Santa Croce, il 3 maggio. Era allora che tutti si ritrovano qui, dove venivano per l’occasione svolte le celebrazioni liturgiche.

Ma com’era, allora, il suo aspetto? Era quello che vediamo in questa foto: quasi irriconoscibile, circondato e inglobato com’è dalle costruzioni sorte nel tempo. Perfino al tiburio superiore sono addossate costruzioni che ne falsano completamente l’aspetto.


La scelta, e poi la realizzazione, negli anni 30 del 1900, del primo Piano per il risanamento di Città Alta, steso da Luigi Angelini, ha per fortuna toccato anche questo luogo. L’anno successivo, infatti, Angelini, dopo aver eseguito accurate ricerche ha “liberato” la costruzione da tutte le aggiunte ed è riuscito a ripotare in luce il magnifico romanico del tempietto, facendolo rientrare nell’elenco degli edifici romanici a pianta centrale del X e XI secolo allora conosciuti.

Non possiamo, oggi, parlare anche dell’interno e dei suoi affreschi… Magari lo andremo a vedere insieme, un giorno!

Ed eccolo qui, il nostro tempietto, al termine dei lavori effettuati dall’Angelini: liberato dalle aggiunte infelici, ora consente di leggere molto bene la struttura romanica, addirittura si nota anche un’apertura ad arco forse rimaneggiata nel corso dei lavori.   


Ho raccontato di una parte sotterranea del tempietto, della quale si era perduta notizia, nel corso dei secoli. Erano rimasti, però, la voce di una chiesetta (o di un tempio) e alcuni disegni antichi.


Arriviamo in tempi più recenti. La foto che vedete è degli anni '60 ed è stata scattata in occasione di una mostra d’arte: è davvero preziosa perché vediamo la situazione della zona a quel tempo.

Il tempietto spicca nella sua bellezza in uno spazio vuoto, libero, che lo valorizza. Sulla destra vediamo i tre gradini che davano accesso all’interno mentre a sinistra vediamo (dietro le figure maldestramente cancellate…) il cancello che collegava questa zona alla via S. Salvatore (la scaletta che parte da via Arena e arriva sul colle di San Salvatore).

Ecco, gente. Quel cancello è la nostra sorpresa di oggi. Perché se negli anni '60 aveva ancora una sua funzione, l’ha invece persa in anni recenti, quando sono stati effettuati importanti lavori di scavo che hanno permesso di riportare in luce la parte sotterranea del tempietto, intuibile già dalla sezione di arco che vediamo a livello del terreno.

Gli scavi - e l’eliminazione di tutta la terra aggiunta per livellare lo spazio attorno - non solo hanno riportato alla luce il tempietto scomparso, ma hanno anche consentito di ritrovare un tratto di acquedotto che portava acqua alla fontana di Antescolis, che si trova proprio alla fine della scala che conduce all’ingresso laterale sud della Basilica di Santa Maria Maggiore.

Quest’ultima foto ci fa capire perché io consideri quel cancello una curiosità da conoscere: perché i recenti lavori di scavo, e di ripristino delle quote originarie, lo ha reso completamente inutile.

Dalla scaletta di S. Sebastiano la visione del Tempietto di Santa Croce è così affascinante da nascondere la questione cancello. Ma da qui, davvero uno si pone dei problemi. Come ha fatto un ragazzino, qualche tempo fa, mentre chiedevo a lui e ai suoi compagni che senso avesse secondo loro, quel cancello. I più logici tra gli alunni risposero che era stata distrutta la scala, altri che erano state sbagliate le misure. Ma lui, il ragazzino monello, guardò con attenzione e poi emise il verdetto: “chi l’ha fatto era tarello”.

Con buona pace di tutte le nostre ricerche ed elucubrazioni.

Detto questo, andateci, e scattate qualche foto da quel cancello. Ne vale davvero la pena! 



(Foto in bianco e nero Archivio Lucchetti, da STORYLAB, che si ringrazia di cuore).