di Michele Sciancalepore | Avvenire
martedì 19 gennaio 2021
Verso la "Giornata della memoria", l’artista ne ricorda il valore: «Per evitare una deriva retorica, sia legata agli orrori di oggi».
«La memoria serve per il presente e il futuro. Riflettete: se vi cancellassero la memoria e vi domandassero chi siete… non sareste in grado di rispondere. La memoria è un progetto per edificare la società che vogliamo, altrimenti dobbiamo subire la società che altri vogliono per noi. Chi è padrone della storia o della memoria è padrone del mondo».
È perentorio Moni Ovadia sull’importanza, necessità e attualità della “giornata della memoria”, ricorrenza ormai più che ventennale per commemorare le vittime dell’Olocausto e tradizionalmente fissata il 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il lager di Auschwitz scoperchiando così gli orrori della Shoah. «Ad Auschwitz, e non solo lì – ci tiene subito a precisare il narratore, attore, regista nato in Bulgaria da una famiglia ebraico-sefardita – è stato annientato l’essere umano. È doveroso ribadire e ricordare: sono morti 6 milioni di ebrei, 500mila rom e sinti, 3 milioni di slavi. Menomati, poveri sbandati, omosessuali, oppositori, che fossero anarchici, socialisti, cristiani, cattolici, comunisti, insomma tutti quelli che avevano detto di no, sono stati sterminati. È stato cancellato l’uomo perché i nazisti negavano l’uomo che in quanto tale è un crogiuolo di diversità e difformità dalle quali scaturisce la sua ricchezza, unicità e sacralità divina».
E proprio con la spiritualità Moni Ovadia ha sempre innescato da più di trent’anni una proficua e creativa dialettica producendo innumerevoli e notevoli frutti artistici, dal vertiginoso e spiazzante Dio ride allo storico Oylem Goylem che lo consacrò come “cantore yiddish”, dal rapsodico Registro dei peccati allo sconvolgente Dybbuk.
In questi giorni non si smentisce e continua a dialogare col trascendente provando al Teatro Comunale di Ferrara, di cui è anche di recente direttore artistico, un recital in vista della tanto agognata riapertura dei teatri: Paradiso con Dante e con Beatrice, un viaggio che Ovadia percorre ispirandosi all’innovativa analisi del filologo Federico Sanguineti per veicolare, insieme con la dotta e talentuosa Sara Alzetta che dà voce alla guida femminile del sommo poeta e all’eclettica e rinomata musicista Giovanna Famulari che dal vivo raccorda, amplifica o accompagna i versi danteschi col violoncello, le emozioni dell’ineffabile bellezza divina.
È proprio sulla natura di quell’Amor che move il sole e l’altre stelle che, secondo Moni Ovadia, bisogna riflettere per trovare il deterrente agli abomini perpetrati con la Shoah e reiterati fino ad oggi: «È illuminante la lettura del versetto levitico 18-19, “Amerai il prossimo tuo come te stesso”, proposta dal filosofo di origini ebraico-lituane Emmanuel Lévinas: l’ordine delle parole nella Torah non è mai casuale, l’amore per il prossimo è prioritario, tu acquisti identità di essere umano solo allorquando cogli l’altro nella piena dignità della sua alterità perché il motore della creazione è proprio questo.
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