Spuntini libreschi

Condividi su

23 marzo 2021
di Carlotta Testoni


Kazuo Ishiguro
Non lasciarmi

Einaudi, pagg. 290

Kazuo Ischiguro, premio Nobel per la letteratura 2017, è nato in Giappone nel 1954 e con la famiglia si è trasferito in Inghilterra nel 1960.

La permanenza avrebbe dovuto essere temporanea, perciò gli viene impartita anche una educazione giapponese. Laureatosi in filosofia, sposa una donna scozzese e diventa cittadino britannico nel 1982. Questo fa di lui un miscuglio di culture che certamente è all’origine del fascino dei suoi romanzi, tutti scritti in inglese.


Il suo libro più famoso è Quel che resta del giorno, anche perché James Ivory ne ha tratto l’omonimo film uscito nel 1993, 8 nominations agli Oscar, con un magistrale Anthony Hopkins nei panni del maggiordomo Stevens, Christopher Reeve in quelli di Mr. Farraday e Emma Thompson in quelli di Miss Kenton.

Se per caso vi fosse sfuggito… LEGGETELO subito!!


Tuttavia, quelli che se ne intendono ritengono che il suo capolavoro sia Non lasciarmi, che prende il titolo da una canzone – la preferita di Kath, Never let me go di Judy Bridgewater – che accompagna alcuni passaggi chiave del romanzo.                                                                                  
Kath è la voce narrante, una ragazza di trentun anni che sta per concludere la sua attività di “assistente” in centri di riabilitazione per “donatori”. In questo momento della sua vita, che intuiamo essere decisivo, Kath decide di ripercorrere e di raccontare la sua vita passata: l’infanzia e la prima adolescenza trascorse nel prestigioso collegio di Hailsham, sperduto nella campagna inglese, la giovinezza trascorsa ai “cottages”, il suo lavoro di “assistente”, ma soprattutto il legame, nato proprio fra le aule di scuola, con una ragazza, Ruth, e un ragazzo, Tommy.                

È quasi impossibile scrivere una recensione di Non lasciarmi senza anticipare nulla ai lettori di questo romanzo. Si tratta infatti di una storia che all’inizio lascia molti punti di domanda, ma che va assaporata piano, perché il senso delle cose che si leggono viene chiarito pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo.                                                                                                         
Ci troviamo in Inghilterra dopo la II Guerra Mondiale, ma capiamo subito che non si tratta della realtà, ma di una dimensione di fantascienza, un mondo parallelo, che potrebbe essere stato o che in futuro, purtroppo, potrebbe essere. Kath racconta la sua storia a partire dall’infanzia e ci guida pian piano attraverso episodi e situazioni che, grazie anche al gran parlare che i ragazzi fanno tra loro, la porta – e ci porta – alla fine a comprendere.

La forza di questo romanzo sta anche nel fatto che unisce due generi letterari molto diversi: la fantascienza e il racconto personale, di memoria, in cui gli avvenimenti vengono percepiti a posteriori e rivissuti e ripensati alla luce di ciò che via via si capisce.

E le descrizioni della campagna inglese, del Norfolk amato dall’autore, ci fanno scorgere la “parte inglese” della sua anima, mentre il carattere di alcuni personaggi – Kath prima di tutti – e soprattutto il modo in cui è costruita la trama sono molto giapponesi.

Le storie giapponesi sono sempre degli apologhi, delle parabole, delle favole (nere come in questo caso), per farci riflettere, comprendere, pensare.                                                        
In Non lasciarmi il senso si sviluppa in un modo che pone interrogativi più ampi sull’esistenza e sul senso della vita, e non per disquisire filosoficamente e asetticamente sui massimi sistemi, ma per puntare dolorosamente il dito sulla riflessione che a tutti, inevitabilmente, almeno una volta nella vita, capita di fare sulla brevità del tempo che abbiamo a disposizione, sull’impossibilità di ottenere rinvii di sorta e quindi sulla necessità di non sprecare nessuna occasione per essere davvero felici: “Per un istante fu come se ci tenessimo stretti uno all’altra, perché quello era l’unico modo per non essere spazzati via nella notte”. L’amore, l’amicizia, ogni vero legame sono l’unica cosa che abbiamo da opporre all’ineluttabile, fino a che dura, fino a che è possibile.

Dice Ishiguro: “il romanzo celebra il bello delle persone. Forse è triste perché sappiamo che moriranno, ma questo è vero per tutti noi. Cosa conta davvero, quindi? Le amicizie, le relazioni, l’amore, il senso... queste cose sono importanti alla fine, non di certo la carriera. Pensavo che Non lasciarmi fosse il mio libro più ottimista, ma le persone ridono quando lo dico. E questo non è bello.” 


Ishiguro sta seduto come tutti sull’orlo di un pozzo, ma mentre quasi tutti guardano altrove, egli cerca di convincerci a prenderci per mano, ad amarci, e ad accettare insieme l’ineludibile.



P.S.: Se vi è piaciuto il primo Blade Runner, certamente vi piacerà anche Non lasciarmi… ma basta! Ho detto anche troppo.