«Coltiviamo affinità nel sacro attorno a noi»

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Villa d’Almé. Ginevra Di Marco e Franco Arminio, si intrecciano musica e poesia in «È stato un tempo il mondo». Lunedì lo spettacolo al «Teatro Serassi»


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Intervista a cura di Ugo Bacci apparsa su L'Eco di Bergamo di giovedì 10/10/2024

 

«È stato un tempo il mondo» è il verso di una canzone dei Csi (Consorzio Suonatori Indipendenti) e il titolo dello spettacolo-concerto che Ginevra Di Marco e Franco Arminio presentano lunedì al «Serassi» di Villa d’Almè per la rassegna culturale delle Acli di Bergamo «Molte Fedi sotto lo stesso cielo» (inizio ore 21; ingresso 20 euro). La cantante e il poeta, lo sguardo etico di due artisti che si sono cercati a lungo, insieme affrontano un viaggio introspettivo per capire e farci comprendere cos’è stato il mondo e cosa è diventato alla luce dei tempi che corrono. Accanto, a creare sfondi alla narrazione, Francesco Magnelli, piano e tastiere varie, Andrea Salvatori, chitarra, tzouras, voce e aggeggi elettronici. Lo spettacolo dà voce al silenzio, cuce pannelli di bellezza, fa un’analisi anche spietata sulle differenze che si sono create tra mondo antico e contemporaneità. «Lo spettacolo nasce dalla voglia di fare qualcosa insieme», spiega Ginevra Di Marco. «Ci siamo scritti per anni con Arminio. Lui qualche volta è venuto ai nostri concerti, nel 2006, l’anno dopo e nel 2009. Era tempo che ci seguiva. Ci siamo conosciuti, annusati, abbiamo scoperto di avere una sensibilità affine, una visione comune. La voglia è quella di intrecciare linguaggi. È una scelta interessante. L’ho scoperto lavorando allo spettacolo con Margherita Hack o con Sepulveda stesso: il format proponeva l’incontro tra musica, canzone, poesie, letture, considerazioni. Quello con Franco è un incontro di sensibilità: siamo vicini nello sguardo sulle cose, sulla vita. “È stato un tempo il mondo” è pensato per ricordarci quel che ci siamo persi. Con Franco coltiviamo affinità rispetto ai margini, al silenzio, al sacro che sta intorno a noi e le nostre vite non contemplano più».

Dunque cosa si deve aspettare il pubblico di «Molte fedi»?
«Lo spettacolo è molto emotivo, coinvolgente. La prima parte è più precisa, senza dialogo col pubblico, la seconda è più sciolta, viene coinvolta la gente in sala. Si alternano momenti intimi ad altri di scambio, di festa. Facciamo anche dei giochi, per allentare un po’ la tensione, incontraci, conoscersi. È un primo passo prima di altre avventure che potrebbero arrivare, magari costruendo qualche canzone sulle poesie di Arminio. Per ora stiamo un poco insieme e vediamo che cosa ci porterà questa esperienza». 

 

Ragionando sulla natura dello spettacolo vi siete dati una ragione del fatto che la gente di oggi sia così poco attenta al sacro? 

«Franco porta avanti il tema della “paesologia” perché il suo impegno è costante nel promuovere la ripopolazione dei luoghi antichi, dei paesi dove affondano le nostre radici, la bellezza; dove vi è ancora una vita possibile. Non a caso organizza ogni anno il festival di Aliano, un paese che dire sperduto è poco, nei calanchi, sotto Matera. Ci sono stata l’anno scorso, son tornata quest’anno. È diventato un appuntamento d’amore dove si ritrovano migliaia di ragazzi in cerca di qualcosa. Ci sono tante energie che scorrono: concerti, incontri, reading. Cinque giorni di vita assoluta di cui i giovani hanno bisogno. Ed è bello vedere che dove ci sono opportunità la gente risponde. Il festival è di una bellezza inaudita, in un posto strepitoso che non contempla più nessuno, essendo completamente abbandonato. Eppure lì nasce un grande incontro con la poesia, il teatro, la danza, la musica. Ciò che ha a che fare con la cultura, la storia, le tradizioni, ha a che fare col percorso che ho intrapreso dopo i CSI. Mi piace tenere il filo ben radicato in quel che c’è stato prima di noi».

Visto che di questo parlate nello spettacolo: qual’è il problema del tempo oggi?
«La velocità a cui siamo sottoposti; lo stress performativo a cui i giovani sono richiamati. Avendo tre figli è qualcosa che ho ben presente. Abbiamo enorme bisogno di un tempo largo, concesso anche alla noia. I ragazzi d’oggi non sanno più annoiarsi, non sanno cosa vuol dire. Il tempo più rallentato ci mette in connessione con i nostri bisogni più veri, necessari, intimi. Oggi la noia, che può avere in sé una componente di creatività, è stata sostituita dal vuoto. Anche la frequentazione di luoghi che non prevedono la vita che abbiamo tutti i giorni sotto le gambe credo offra grandi opportunità».