Ai nostri fratelli maggiori

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In occasione della giornata del dialogo ebraico-cristiano giunta alla sua 32ma edizione, ripercorriamo le tappe fondamentali del progressivo avvicinamento ai fratelli ebrei da parte dei Papi della modernità.

 

Laura De Luca – Città del Vaticano


 

Sarete certo informati che il Concilio ha approvato lo schema relativo ai rapporti della Chiesa con gli appartenenti a religioni non cristiane. Si riafferma che la religione vera, quella voluta da Dio, è una sola, è quella che noi abbiamo la fortuna e il dovere di praticare; ma insieme si riconosce che dobbiamo avere rispetto, per quanto di buono e di vero contengono, alle altre religioni, e dobbiamo trattare bene ed amare i loro seguaci. La legge della carità si allarga e si applica a tutti.  Ne daremo noi stessi oggi l'esempio pregando per i non cristiani, per quelli specialmente che, derivando dal padre Abramo le loro credenze, hanno una. parentela spirituale con la nostra fede, gli Ebrei; e, oltre ad essi, anche i Musulmani.  La Madonna vuol certo bene anche a loro, e noi per essi la pregheremo. 

Così papa Paolo VI,  il 17 ottobre del 1965, a meno di due mesi dalla chiusura del concilio, dava conto dell’orientamento dell’assemblea nei confronti delle religioni non cristiane, richiamando il contenuto della dichiarazione Nostra Aetate, che sarebbe stata firmata pochi giorni dopo, il 28 ottobre dello stesso anno. I papi e gli ebrei. Una storia che ha visto una svolta decisiva proprio in questi ultimi decenni…

La religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori. (…) Agli ebrei, come popolo, non può essere imputata alcuna colpa atavica o collettiva, per ciò “che è stato fatto nella passione di Gesù”. Non indistintamente agli ebrei di quel tempo, non a quelli venuti dopo, non a quelli di adesso. È quindi inconsistente ogni pretesa giustificazione teologica di misure discriminatorie o, peggio ancora, persecutorie. Il Signore giudicherà ciascuno “secondo le proprie opere”, gli ebrei come i cristiani (…) Non è lecito dire, nonostante la coscienza che la Chiesa ha della propria identità, che gli ebrei sono “reprobi o maledetti”, come se ciò fosse insegnato, o potesse venire dedotto dalle Sacre Scritture, dell’Antico come del Nuovo Testamento.(…) Su queste convinzioni poggiano i nostri rapporti attuali.

Giovanni Paolo II aveva avuto trai suoi più cari amici tanti ragazzi ebrei… La sua visita alla sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986, fece storia. E proprio in nome di quella franchezza che è buona abitudine tra amici…

Non è certo perché le differenze tra noi siano ormai superate che sono venuto tra voi. Sappiamo bene che così non è. Anzitutto, ciascuna delle nostre religioni, nella piena consapevolezza dei molti legami che la uniscono all’altra, e in primo luogo di quel “legame” di cui parla il Concilio, vuole essere riconosciuta e rispettata nella propria identità, al di là di ogni sincretismo e di ogni equivoca appropriazione. (…) A nessuno sfugge che la divergenza fondamentale fin dalle origini è l’adesione di noi cristiani alla persona e all’insegnamento di Gesù di Nazaret, figlio del vostro popolo, dal quale sono nati anche Maria Vergine, gli apostoli, “fondamento e colonne della Chiesa”, e la maggioranza dei membri della prima comunità cristiana. Ma questa adesione si pone nell’ordine della fede, cioè nell’assenso libero dell’intelligenza e del cuore guidati dallo Spirito, e non può mai essere oggetto di una pressione esteriore, in un senso o nell’altro; è questo il motivo per il quale noi siamo disposti ad approfondire il dialogo in lealtà e amicizia, nel rispetto delle intime convinzioni degli uni e degli altri, prendendo come base fondamentale gli elementi della rivelazione che abbiamo in comune, come “grande patrimonio spirituale” …

Anche papa Giovanni XXIII aveva compiuto gesti decisivi nei confronti degli ebrei, dalla soppressione dell'espressione ‘perfidi giudei’ nella preghiera del Venerdì Santo, alla benedizione degli ebrei fuori dalla sinagoga di Roma nel marzo del 1962. Quanto a Pio XII, che dovette guidare la Chiesa durante la guerra e gli anni terribili del nazi fascismo e della Shoah, se a fine conflitto fu salutato come il salvatore di Roma anche da politici di primo rango e influenti personalità del mondo ebraico, in seguito fu vittima della cosiddetta  «accusa del Silenzio» rispetto all’orrore dei campi di concentramento.

Proprio per questo papa Francesco ha da poco de-secretato i documenti a riguardo. E Johan Ickx, che lavora da più di due decenni negli archivi della Santa Sede, e oggi dirige l’Archivio Storico della Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, ha siglato un libro di recente edito da Rizzoli: Pio XII e gli ebrei , che prova a far luce proprio su quel capitolo difficile della storia del mondo e della Chiesa. Ma le sorti degli ebrei sono oggi in primo piano anche e soprattutto nel tormentato Medio Oriente. Ancora Paolo VI, ricevendo il presidente egiziano El Sadat in visita in Vaticano il 13 febbraio 1978 esprime il punto di vista anche politico della Santa Sede, che ha un solo obbiettivo e un solo nome: pace.

Siamo consapevoli della difficoltà di tale soluzione, alla quale debbono concorrere elementi diversi: c’è da ricostituire una prospettiva di giustizia e di sicurezza per tutte le popolazioni del Medio Oriente (e pensiamo qui anche al Libano, che ha già pagato un prezzo tanto alto, a causa della situazione non risolta); vi sono da soddisfare le legittime aspirazioni del popolo palestinese; e da assicurare a Gerusalemme condizioni giuridiche e reali tali che essa non continui ad essere motivo di contesa fra le parti, ma divenga - com’è sua vocazione - centro religioso di pace, in cui possano convivere, in pacifica uguaglianza di diritti, le comunità locali delle tre grandi religioni monoteiste ed incontrarsi e dialogare fraternamente Ebrei, Cristiani e Musulmani della regione e del mondo intero.

 

Nel terzo millennio cristiano, un’altra sinagoga riceve la visita di un Papa. L’anno successivo questo Papa visiterà Auschwitz e dirà: “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania”. Il 19 agosto del 2005, a Colonia, Benedetto XVI, nel nome della riconciliazione, sembra quasi chiudere il cerchio della storia…

Dobbiamo conoscerci a vicenda molto di più e molto meglio. Perciò incoraggio un dialogo sincero e fiducioso tra ebrei e cristiani: solo così sarà possibile giungere ad un'interpretazione condivisa di questioni storiche ancora discusse e, soprattutto, fare passi avanti nella valutazione, dal punto di vista teologico, del rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Questo dialogo, se vuole essere sincero, non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti o minimizzarle: anche nelle cose che, a causa della nostra intima convinzione di fede, ci distinguono gli uni dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci e amarci a vicenda. Infine, il nostro sguardo non dovrebbe volgersi solo indietro, verso il passato, ma dovrebbe spingersi anche in avanti, verso i compiti di oggi e di domani. Il nostro ricco patrimonio comune e il nostro rapporto fraterno ispirato a crescente fiducia ci obbligano a dare insieme una testimonianza ancora più concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo e della sacralità della vita umana, per i valori della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo.