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Massimo Giuliani | domenica 17 gennaio 2021
Avvenire.it

Un commento all'iniziativa della "Bibbia dell'amicizia": «La possibilità di celebrare le diverse interpretazioni dell’unica Bibbia è segno che lo spirito della profezia non ha smesso di soffiare»

     

       

      Si fa gran uso (forse un abuso?) dell’aggettivo "profetico". Personaggi pubblici, gesti ed eventi sono spesso qualificati come profetici e additati alla pubblica ammirazione.

      Ma storicamente i neviim, i profeti di Israele, erano tutt’altro che stimati o celebrati, specie quand’erano vivi; anzi di solito erano disprezzati e perseguitati, perché il loro ruolo consisteva nel criticare e contestare i potenti di turno, che fossero i re o la classe sacerdotale; erano dei 'tafani divini', per prendere a prestito la metafora di Socrate, nel senso che pungevano e sferzavano il popolo che, dimenticando Colui che li aveva tratti dall’Egitto, «serviva dèi stranieri»; erano degli ostinati difensori di un ordine morale e di una giustizia sociale che non esisteva ma avrebbe potuto esistere se fosse stata seguita le legge del Signore.

      Sferzavano, ma quando i nemici infierivano con guerre e deportazioni, eccoli al fianco del popolo in miseria e in angoscia, pronti a consolare, condividere le sofferenze, rincuorare con parole di speranza.

      La profezia biblica è uno dei fenomeni culturali e religiosi più straordinari che la Bibbia ci abbia tramandato. Fenomeno diversificato tra regno di Israele a nord e regno di Giuda a sud, nel quale tuttavia ogni profeta mantiene la propria personalità unica e irripetibile, il proprio carattere, le proprie passioni. Ma vi è un tratto comune: sempre il profeta antepone la fedeltà alla Parola rispetto alle convenienze politiche, sempre antepone la solidarietà verso il popolo ai propri interessi e persino alla propria vita.

      È questa consapevolezza che unisce i circa cinquanta autori, ebrei e cristiani divisi in pari numero, che hanno collaborato al secondo volume della Bibbia dell’amicizia. Sferzare e consolare. Il ruolo dei profeti, in cui vengono commentati altrettanti brani, antologizzati con intelligenza dai cosiddetti libri profetici del Tanakh, della Bibbia ebraica, che includono anche Giosuè e Giudici, i libri di Samuele e dei Re, oltre ai singoli profeti.

      Il volume è curato da Marco Cassuto Morselli, presidente delle Amicizie ebraico-cristiane italiane, e da Giulio Michelini, francescano e preside dell’Istituto Teologico di Assisi; e si apre con le prefazioni del cardinale Kurt Koch e del rabbino David Rosen.

      Nel suo genere, è un unicum nel panorama del dialogo ebraicocristiano: non ha scopi scientifici, ma pone i risultati delle scienze bibliche al servizio di una più olistica comprensione dell’importanza dell’ascolto delle Scritture per le due comunità religiose, quella ebraica e quella cristiana.

      Non è un caso che dal punto di vista cristiano i profeti di Israele facciano da ponte tra Torà e Nuovo Testamento, né va ignorato che i testi profetici hanno aiutato molti studiosi ebrei del Novecento (da André Chouraqui a Martin Buber, da Abraham Heschel a André Neher) ad apprezzare le sacre Scritture cristiane.

      Nella Bibbia dell’amicizia... continua a leggere