Diario di Ramadan: la storia di un incontro tra identità e culture diverse

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Noha Tofeile
12 aprile 2021
@Sant'Alessandro.org


Proponiamo anche quest’anno una rubrica per raccontare il Ramadan e capire meglio e più da vicino che cosa accade in questo periodo nelle comunità musulmane che vivono tra di noi. L’iniziativa nasce in collaborazione con l’Ufficio diocesano per il dialogo interreligioso di Bergamo: un approfondimento culturale a sostegno della conoscenza reciproca e del dialogo. Protagonista di questo “diario” è una giovane studentessa universitaria che vive e lavora nella nostra provincia.

Ciao a tutti! Innanzitutto, mi presento. Mi chiamo Noha, sono una ragazza di origini libanesi, nata in Italia, cresciuta in Valtellina e da sei anni ormai, salvo qualche mese all’estero per studio, abito a Bergamo. Di certo la stabilità non è nel mio sangue. Eppure, sin dai primi anni dei miei studi universitari, Bergamo è diventata un po’ anche casa mia. In parte perché paradossalmente, quando sono arrivata qui ho avuto la possibilità di riconnettermi con le mie radici arabe, riunendo finalmente entrambe le mie identità, e poi perché Bergamo è una città piccola e accogliente, a misura d’uomo, proprio come piace a me.

Nel piccolo paesino da cui provengo, per anni, ero l’unica ragazza in tutta la scuola con genitori non italiani e per di più musulmani e ogni volta che varcavo la soglia di casa per andare a scuola gran parte della mia identità mediorientale rimaneva ad aspettarmi tra quelle mura. Al di fuori di esse, infatti, non avevo nessuno con cui condividerla.

I miei compagni di scuola avevano in comune tra di loro abitudini, conoscenze, valori trasmessi dai genitori nati e cresciuti in Italia. Quando si discuteva di musica, spesso mi trovavo spaesata: a casa mia non si ascoltavano Mina e Celentano ma Fairuz e Wadi’ El Safi. Per non parlare dell’insegnamento religioso. Loro andavano a catechismo e ricordo che a scuola spesso discutevano di ciò che avevano imparato. Io invece facevo il doposcuola da mia mamma per imparare a leggere l’arabo e studiare le sure del Corano.

Non avevo nessuno della mia età con cui confrontarmi e per questo motivo da piccola non ho mai sentito di avere un valore aggiunto. Piuttosto mi sentivo “quella strana che non mangia il prosciutto”. E prosciutto a parte, il Ramadan era forse l’unico momento in cui il mio essere musulmana si palesava in modo più evidente anche nella vita sociale. Ricordo quando durante le assemblee l’odore dell’aria si saturava di cibo e di confusione. Confusione scaturita dal fatto che io non potessi partecipare con i miei compagni all’abbuffata. Ovviamente lì scattava il classico: “Ma nemmeno un goccio di acqua? Prendine un po’ ora che nessuno ti sta guardando!”.

Per loro mi stavo auto-torturando mentre per me la fatica di quei sacrifici era alleggerita dalle mie forti motivazioni. Perché sia chiaro: all’infuori di quel mese non resisterei nemmeno un’ora senza cibo! Ramadan era un momento molto intimo e importante per me che i miei amici non riuscivano a capire. Proprio quella era la parte più difficile: non avere nessuno con cui condividere e che avrebbe potuto capire una parte di me così fondamentale.


Una volta arrivata a Bergamo, però, tirava un’altra aria. Nello studentato dove andai ad abitare sono subito stata accolta da un ambiente multiculturale dove conobbi ragazzi da ogni parte del mondo: serbi, dominicani, kazaki, senegalesi, camerunensi e ovviamente non mancavano gli arabi. Quell’anno per la prima volta in 19 anni passai il Ramadan in una piccola comunità arabo-musulmana improvvisata e da allora inizia ad apprezzare sempre più ciò che mi aveva sempre reso diversa.