Mattarella: amico e uomo delle regole

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Martino Rovetta
13 Dicembre 2021
@L'Eco di Bergamo

«L’essere è più del dire – siamo d’accordo. Ma non dire è talvolta anche non essere». Così scriveva il poeta Giovanni Giudici nella sua «Finis fabulae» (1965).

Due versi che rappresentano un degno epilogo della 14ª edizione di «Molte Fedi sotto lo stesso cielo», la rassegna culturale delle Acli di Bergamo che quest’anno ha avuto come orizzonte di partenza un altro verso, tratto da un componimento di Mariangela Gualtieri scritto per la comunità di Bose: «Diremo io o noi?».

«Al termine di un’edizione – dicono gli organizzatori – si fa largo legittima, imperterrita, e talvolta scomoda, una questione: che cosa resta di 80 appuntamenti e tre mesi di rassegna? Le risposte possono essere molteplici, senza alcun tipo di ansia da prestazione.

I numeri infatti hanno il loro valore, così come le visualizzazioni, e lo stesso vale per l’eredità concettuale che ogni evento lascia per forza e inaspettatamente dietro di sé.

Ma riavvolgiamo il nastro.

Ai blocchi di partenza un interrogativo intrigante, lasciato volutamente aperto: Diremo io o noi? Una domanda senza troppe pretese, ma con l’ambizione di tener legate le anime vivaci e curiose di una manifestazione che vuole fare della convivialità delle differenze il proprio leit motif.

Come ricorda Giudici, dopo tanto dire, oggi forse è il tempo dell’essere.

 

Gilberto Bonalumi
4 gennaio 2022
@L'Eco di Bergamo

Ancora è presto per capire quali saranno gli esiti delle votazioni dei mille e più grandi elettori chiamati a dare al Paese il nuovo presidente della Repubblica. I tempi, invece, sono maturi per le prime analisi, i primi bilanci della presidenza di Sergio Mattarella che, condotta con la sordina tipica di chi non perde il controllo delle situazioni, si è conclusa con una generale richiesta di rielezione.

Tema, questo, che rischia di essere fuorviante: lasciamo che le prossime settimane portino consiglio a chi di dovere e non leghiamoci ad un desiderio, di nessun tipo. Il bello delle elezioni dei presidenti italiani è che, magari dopo una ventina di scrutini, alla fine si arriva al risultato, e finora di scelte marcatamente sbagliate non ne sono state fatte. Anche sotto questo aspetto il nostro sistema costituzionale ricorda quello tedesco: garanzia di stabilità e navigazione tranquilla. È l'esito in cui dobbiamo continuare a sperare. I nomi verranno dopo.

Una fase di scelte ineludibili
Mattarella giunse al Colle nel 2015, in modo non da tutti previsto. In molti lo consideravano da tempo persino fuori dalla riserva della Repubblica. Sette anni dopo termina il compito come uno dei presidenti più importanti della storia repubblicana. Uno di quelli che hanno dovuto gestire e accompagnare il Paese in una fase di scelte ineludibili e grandi confusioni, in cui l'errore - sempre possibile, sempre dietro l'angolo - avrebbe provocato sconquassi.

Invece tutto bene; ringraziamolo, quindi, e auguriamoci che si continui così. Con qualcuno, vale a dire, che abbia le sue stesse caratteristiche. A fare il punto su cosa è accaduto nel corso di questa navigazione c'è un libro (150 pagine di racconto immerso nell'analisi: alla fine se ne esce soddisfatti e ancora freschi) uscito in questi giorni. Il titolo è «L'uomo delle regole: Sergio Mattarella e la Terza fase della Repubblica». Prima di vedere cosa c'è dentro, l'autore. Nicola Graziani è uno dei pochi, pochissimi quirinalisti che sono sempre là, al Quirinale, da quando è nata questa particolarissima figura giornalistica. Dai tempi, cioè, di Francesco Cossiga. Sa di quel che scrive. Ha seguito Cossiga, poi Scalfaro, poi Ciampi, poi Napolitano e ancora Napolitano.

Adesso Mattarella. Non è poco: cinque presidenti e due passaggi chiave della vita politica nazionale. Di qui il sottotitolo che però non parla, come verrebbe da pensare sulle prime, di una Terza Repubblica quanto piuttosto della terza fase della Repubblica, e la differenza è sostanziale.

 

Premessa: una Repubblica non si trasforma in qualcosa di diverso, se la Costituzione resta quella. La Carta, in Italia, non è mai stata cambiata nella sua essenza, nonostante numerosi tentativi non di rado degni dell'apprendista stregone. Viviamo quindi nuove fasi di una stessa vicenda, più all'insegna di quello che Fernand Braudel chiamava il regime biologico di lunga durata di quanto noi stessi non siamo di solito disposti ad ammettere. Ecco quindi che non c'è soluzione di continuità, in una prospettiva istituzionale, tra prima e dopo il '92, come tra prima e dopo le elezioni del 2018, che pur videro il M5S proclamare la radicale, evidente ed irreversibile rottura con il passato. Il passato, da noi, passa: vero, ma lo fa con i suoi tempi, che non sono quelli dei bollettini della vittoria.

La politica come la natura 
In altre parole: cambiano gli uomini, ma le regole sono quelle. Occorre rispettarle, nella forma come nella sostanza, e questo è - nella sua disarmante semplicità, ma sono i più capaci quelli che rendono semplice ciò che è complicato - il tratto caratteristico del settennato di Sergio Mattarella. Chiamato a gestire leader che del cambiamento fine a sé stesso avevano fatto la loro bandiera, ha saputo indirizzarli, aiutarli, esercitare con loro quell'arte socratica della maieutica che tanto serviva con personaggi così sopra le righe da fare della rottamazione altrui la propria ragione di vita politica.

Ma la politica è come la natura: nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma. I processi quindi vanno saputi accompagnare affinché diano il meglio, senza lasciare sul campo inutili distruzioni. Soprattutto non possono essere ridotti ad un gioco a somma zero, in cui ci deve essere per forza qualcuno che vince e comanda e qualcun altro che perde e soccombe.
Lo scopo della buona politica è la mediazione per creare, di fronte ai problemi comuni, comuni soluzioni il più possibile concordate. Solo così si arriva a esiti accettati e quindi duraturi, che permettono al Paese di progredire nella massima armonia possibile. A ben guardare è esattamente quello che invece è mancato all'Italia negli ultimi decenni. 

Mattarella, da questo punto di vista, è stato un uomo fortunato perché l'essersi trovato di fronte un quadro politico fortemente destabilizzato, con l‘insorgere dei populismi e dei sovranismi, ha sì reso il suo cammino difficile e dissestato, ma gli ha anche concesso spazi che altrimenti non avrebbe avuto a disposizione. Non vanno sottaciute situazioni potenzialmente esplosive che Mattarella ha dovuto disinnescare grazie a un sapiente uso di fermezza e duttilità, tenendo presente i limiti del proprio ruolo ma le insufficienze
manifestate nell'esercizio del ruolo da parte degli altri protagonisti. Intendiamoci: non è stato un presidente interventista, né dirigista. Al contrario: ha atteso che i problemi prettamente politici arrivassero sul suo tavolo, al termine di un chiaro percorso previsto dalla Costituzione, per poi pazientemente ma in modo deciso raggiungere la via d'uscita.