Spuntini libreschi

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2 marzo 2021
di Adriano Marconi


Oriente e Occidente, passato e presente, fiaba e realtà: i romanzi di Kader Abdolah.

 

“Spesso invento cose, ma con mio grande stupore si rivelano più credibili della realtà”
(Kader Abdolah: Uno scià alla corte d’Europa)

 

Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani, nato in Iran nel 1954, ha scelto fin dai suoi primi romanzi lo pseudonimo di Kader Abdolah, unendo i nomi di due suoi compagni di lotta uccisi in Iran per la loro attività politica. Oppositore dello scià prima e poi del regime degli ayatollah, nel 1985 è costretto a lasciare l’Iran e, dopo un periodo in Turchia, nel 1988 diventa rifugiato politico nei Paesi Bassi. Da allora tutti i suoi romanzi sono scritti originariamente in olandese, lingua da lui appresa essenzialmente come autodidatta.

Nelle sue opere, spesso sospese tra fiaba e realtà e narrate conservando i modi e le atmosfere affabulatorie degli antichi racconti orali persiani (una storia in un'altra storia, a sua volta raccolta in un'altra storia in una catena di incontri e racconti), si mischiano la cultura del suo paese di origine e quella del paese che lo ha accolto.

I suoi romanzi parlano di identità, viaggio, diaspora e integrazione, attingono al passato ma non dimenticano il presente.

Il suo romanzo più famoso e più premiato, La casa della moschea (Iperborea, 2008, pagg. 466), è stato votato dai lettori olandesi come la seconda migliore opera mai scritta nella loro lingua. Di questo romanzo abbiamo già parlato nei suggerimenti libreschi natalizi.


Dopo aver raccontato ne Il viaggio delle bottiglie vuote (Iperborea, 2001, pagg. 176) l’esperienza di un profugo - il protagonista Bolfazl, chiaro il riferimento all’autore stesso - costretto alla fuga, allo sradicamento e ad un lungo processo di adattamento a una realtà diversa, Kader Abdolah raggiunge la notorietà soprattutto con:

Kader Abdolah
Scrittura cuneiforme

Iperborea, 2003, pagg. 334

 

Al centro del romanzo un taccuino scritto in caratteri incomprensibili.


È il quaderno che Aga Akbar, riparatore di tappeti sordomuto e analfabeta, portava sempre con sé nei suoi spostamenti nei villaggi tra le montagne al confine tra Iran e URSS e in cui registrava i suoi pensieri utilizzando i caratteri cuneiformi copiati da un’iscrizione rupestre, unica scrittura da lui conosciuta.

Dopo la morte di Aga Akbar il quaderno arriva nelle mani di Ismail, suo figlio, che nel frattempo è fuggito dall’Iran e si è rifugiato in Olanda.

L’interpretare quella scrittura, che va di pari passo con l’apprendimento della lingua del paese in cui si trova a vivere (di fronte alla quale anch’egli si sente sordomuto e analfabeta), è per Ismail un modo per riconciliarsi con il proprio passato e il proprio destino: “Non voglio restare ancorato al mio passato. Ma è praticamente impossibile vivere in una nuova società se prima non metti ordine nel tuo passato.”

Ma il ripercorrere la vita del padre e la propria diventa anche l’occasione per riflettere sulla storia dell’ultimo periodo del suo paese di origine e anche su temi più generali con cui Ismail (e l’autore con lui) si vede costretto a confrontarsi, quali l’incontro di culture e lo scontro fra tradizione e progresso.

 

Vicende intime e collettive che si ritrovano anche nell’ultimo romanzo di Kader Abdolah: Il sentiero delle babbucce gialle - Iperborea, 2020, pagg. 416, che ripercorre la vita di un giovane regista nell’Iran che va dagli anni Sessanta ai giorni nostri, ispirandosi a Said Sultanpur, poeta di spicco della rivoluzione iraniana, giustiziato nel 1981.

Di questo libro Kader Abdolah ha dichiarato:

“Ho pubblicato molti romanzi ma avevo bisogno di scrivere un libro che fosse davvero molto vicino alla mia esperienza interiore. Non ho mai parlato così apertamente dei miei sentimenti e della mia vita privata ma per questo libro è successo e così l’ho fatto. In questo libro parlo delle paure e dei desideri della mia infanzia. In realtà avrei dovuto scegliere un altro titolo per questo romanzo: Becoming a writer.”

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