Spuntini libreschi

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27 aprile 2021
di Carlotta Testoni

 

Davide Longo

LE BESTIE GIOVANI (e la trilogia del commissario Arcadipane)

Einaudi, pagg404

"Secondo me, una delle cose più belle e forse anche importanti che siano state scritte in Italia. Non sono un lettore di gialli, non è un genere che frequento molto, ma stavolta sono rimasto attaccato fin dal primo capitolo della trilogia".

Così Alessandro Baricco elogia i tre libri gialli di Davide Longo.
Ma vediamo il perché di tanto entusiasmo, seguendo il ragionamento di Baricco.

Giallo e letteratura sono mondi diversi: chi scrive un poliziesco può anche conquistare l’interesse del lettore, ma non andando oltre l’immedesimazione, giacché il piacere della lettura richiede appunto elementi che il giallo non ha e che invece si ritrovano nella letteratura e nella sua potenza.


In realtà il lettore, nel leggere un romanzo, o si fa prendere dalla trama e non bada allo stile e alla forma, per cui legge una pagina dietro l’altra senza accorgersene, oppure si lascia sedurre dal piacere della lettura, relegando l’intreccio a un piano inferiore. Il poliziesco appartiene al primo modello e non fa dunque letteratura.  Tuttavia ci sono scrittori che riescono a coniugare e conciliare entrambi i motivi e uno di questi è appunto Davide Longo, in cui si trovano echi di Simenon, Fred Vargas e Stieg Larsson.

Davide Longo è nato a Carmagnola, a due passi da Torino, nel 1971.
Nel 2014 ha scritto il primo romanzo della trilogia che ha come protagonisti Arcadipane e BramardIl caso Bramard (Feltrinelli 2014, Einaudi 2021), poi il secondo Le bestie giovani (Feltrinelli 2018, Einaudi 2021) e il terzo episodio Una rabbia semplice (Einaudi 2021). Il caso Bramard (Feltrinelli 2014, Einaudi 2021), poi il secondo Le bestie giovani (Feltrinelli 2018, Einaudi 2021) e il terzo episodio Una rabbia semplice (Einaudi 2021).
 
Vive a Torino e, quando ne ha la possibilità, nella sua casa di montagna in Valle Varaita. Da tempo insegna scrittura presso la Scuola Holden. I suoi libri sono tradotti e pubblicati in molti paesi, ma non in Burkina Faso, come sottolinea con ironia lo stesso Longo.

La serie si compone di tre libri: Il caso Bramard, Le bestie giovani, Una rabbia semplice

I protagonisti sono gli stessi: il commissario Vincenzo Arcadipane, un signore poco più che cinquantenne che svolge il suo lavoro con serietà e dedizione, ma è afflitto da pensieri sempre malinconici.  È un immigrato, un lucano trasferitosi molto presto a Torino, ha due figli, un cane e un matrimonio traballante; in tasca ha sempre un congruo numero di sucai, pastiglie gommose e zuccherate che inghiotte in modo nevrotico.

Ma Arcadipane è un uomo saggio e di sani principi, non si fa fregare dai facili compromessi per far carriera o da tecniche scontate e improvvisate di investigazione. Si fida solo del suo mentore che fu, ai suoi tempi, il più giovane commissario della città e che lo tenne a battesimo svolgendo con lui un efficace ruolo di maestro. Si tratta di Corso Bramard, uomo ombroso e scontroso, che Arcadipane frequenta solo il minimo indispensabile. Intorno a questi due protagonisti si animano una miriade di diversi personaggi. Tra loro, con un ruolo di rilievo, spiccano due donne: Isa Mancini, liberamente tratta dalle figure femminili di Millennium di Stieg Larsson, e Ariel, figura assai originale di counselor.


I tre libri contribuiscono in modo determinane a segnare la biografia di Arcadipane, Bramard e dei loro amici e conoscenti, infatti pur essendo tre casi polizieschi a sé stanti, hanno nella storia dei personaggi principali il loro filo rosso.

Tuttavia si può anche cominciare da quello che si vuole, hanno carattere e vita proprie!

Nel primo volume si viene a sapere quale sia stata la tragedia che ha segnato per sempre Corso Bramard, mentre Arcadipane rimane sullo sfondo della storia.
Nel secondo volume la narrazione assume i toni del romanzo civile e, per diversi aspetti, politico: sono numerosi i riferimenti alla storia del nostro paese negli anni Settanta. 

Nel terzo l’investigazione tende a entrare nella vita quotidiana delle persone, a scavare nella parte nascosta di crimini che sembrerebbero, a prima vista, di facile risoluzione. 

Non voglio svelare altro per non togliere il gusto del giallo ai lettori, ma anche perché il  valore aggiunto dei libri di Longo non è tanto l’intreccio quanto la qualità della scrittura. Torino e il Piemonte sono raccontati nei loro più intimi e discreti aspetti; arredamenti, cibi, persone e atmosfere sono capaci di imporre al lettore i passi giusti per addentrarsi nella loro dimensione più riservata senza turbarne l’originalità.

Tuttavia non posso non dire che il mio preferito è il secondo libro della trilogia: Le bestie giovani. Come ho detto scritto è un romanzo civile politico e storico e in esso quella bravura di scrittore che Baricco loda in Longo, crea un vero romanzo di letteratura, reso ancor più godibile e interessante dalla trama gialla.


Come dice scherzando lo stesso Longo, in realtà lo aveva proposto alla Einaudi come un romanzo di letteratura civile, ma è stato classificato come giallo… altrimenti avrebbe venduto pochissimo!


In special modo, a chi ha vissuto gli anni Settanta, un periodo opaco, pieno di problemi gravi, spesso molto poco chiari, anni brutti, sporchi e duri per l’Italia: stragi, attentati, servizi deviati, politica opaca e stragi di stato… a chi li ha vissuti, o studiati con interesse, piacerà certamente la capacità di parlarne e forse anche di capirli che Longo dimostra in questo libro.

In sintesi la trama è questa: nelle campagne intorno a Torino gli operai di un cantiere ferroviario rinvengono le ossa di uomini e donne uccisi con un colpo alla nuca: una fossa comune. Il caso viene affidato al commissario torinese Arcadipane, ma rimane nelle sue mani per una notte soltanto: il mattino dopo una task force, specializzata in analisi dei siti storici, è già sul posto a requisire i reperti, che risalirebbero alla Seconda guerra mondiale. Arcadipane potrebbe accettare gli ordini e farsi da parte, concentrandosi sulla crisi di mezz’età che lo tormenta, ma qualcosa non gli torna: troppa rapidità nello stabilire cosa sono quelle ossa e perché sono lì. Decide perciò di proseguire l’indagine in autonomia. L’analisi di un femore requisito gli dà ragione: porta i segni di un intervento chirurgico datato anni Settanta.  Quando si scopre che il femore analizzato appartiene al principale sospettato per l’incendio alla sede torinese dell’MSI in cui restò ucciso uno dei militanti, le indagini, chiarite da flash back storici, affondano appunto nel periodo più nero della nostra storia postbellica.


Vi segnalo anche l'interessante struttura del libro: tre parti precedute ognuna da un prologo che è uno squarcio spazio temporale, con cambio del punto di vista del narratore, che rende ancora più originale e interessante la narrazione.


Buona lettura!