Spuntini libreschi

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27 aprile 2022
Di Adriano Marconi


WEST AL TRAMONTO


Oso. Un western.
Ho sempre amato i film western.
E, devo ammetterlo, non solo quelli dal 1968 in poi (come Piccolo grande uomo, Soldato blu o Balla coi lupi, per citarne alcuni) più storicamente corretti riguardo alle ragioni degli ‘indiani’, ma anche quelli classici in cui ‘arrivano i nostri’ contro gli ‘indiani cattivi’ (peraltro bellissimi dal punto di vista cinematografico e con personaggi – e attori - indimenticabili).
Ma, a quel che mi ricordi, non ho mai letto un romanzo western.
Fino a quando una recensione favorevole e la conferma di un amico mi hanno convinto a leggere

Larry McMurtry
Lonesome Dove
Einaudi, 2017, pagine 937
(traduzione di Margherita Emo)

Non siamo comunque lontani dal cinema. Larry McMurtry (1936-2021) è stato un apprezzato sceneggiatore cinematografico: ha vinto l'Oscar alla migliore sceneggiatura non originale nel 2006 per il film I segreti di Brokeback Mountain e da suoi romanzi sono stati tratti film di grande successo come Hud il selvaggio, L'ultimo spettacolo, Voglia di tenerezza e Conflitti del cuore.

Anche Lonesome Dove era stato pensato per il cinema. Il progetto iniziale non andò in porto, ma McMurtry non abbandonò l’idea: la sceneggiatura divenne un romanzo che fu pubblicato e vinse, nel 1986, il Premio Pulitzer per la narrativa.

Successivamente è stato adattato per il cinema in una mini-serie televisiva che ottenne negli Stati Uniti un grandissimo successo.

La storia in sé è presto detta.
Due tra i più famosi ranger del Texas, Augustus McCrae e Woodrow Call, amici molto diversi per carattere, hanno lasciato il servizio attivo e si dedicano al commercio del bestiame dopo aver fondato, a Lonesome Dove, al confine tra Texas e Messico, la Hat Creek Cattle Company che gestiscono con l’aiuto di alcuni cowboys.

La guerra civile è finita, nel Texas i Comanche e i banditi messicani sono stati vinti, le giornate passano tra lavoro, giochi di carte, bevute, visite al saloon.
Ma l’antica irrequietezza non è del tutto sopita e riprende il sopravvento alla notizia che nel Montana, a Nord, ai confini con il Canada, i pascoli sono in abbondanza e non sono ancora stati occupati dai coloni.

Nonostante l’apparente assurdità dell’impresa, Call e McCrae radunano una mandria di bovini e intraprendono il lungo viaggio attraverso le Grandi pianure per portare il bestiame in una fattoria da fondare oltre lo Yellowstone.
Puntualizza McCrae: “A me e Call è sempre piaciuto arrivare a destinazione, anche quando è maledettamente senza senso”.

Inizia così un’avventura epica che man mano si arricchisce di personaggi e storie.
Storie e personaggi che si incontrano, si separano, si intrecciano e si riuniscono di nuovo.
L’epopea del West, ma un’epopea al tramonto, in un momento di passaggio:

“Spariti quei milioni di animali, e in seguito quasi tutti gli indiani, le grandi pianure erano davvero vuote e spopolate; non erano più nemmeno pascoli.
Presto sarebbero arrivati i bianchi, ma quello … era un momento intermedio – non le pianure come erano state, né come sarebbero diventate -, un momento di puro vuoto, in cui migliaia di miglia di erba giacevano inutilizzate, occupate soltanto da sopravvissuti: bisonti, indiani e cacciatori”.

E del western ci sono tutti gli elementi.

Gli indiani, vinti ma non ancora del tutto domati. Alcuni feroci, altri senza più terra, sperduti e affamati.
E già un ‘rimorso’ su come i bianchi hanno agito nei loro confronti, ben testimoniato da due riflessioni di Augustus McCrae (il ‘filosofo’ del gruppo - uno dei personaggi a mio parere più riusciti del romanzo):

“I territori selvaggi sono così: hanno i loro pericoli, ed è parte del loro fascino. Questa terra appartiene agli indiani da sempre. Per loro è preziosa perché è antica. Per noi è esaltante perché è nuova”.
E ancora:
"Abbiamo vinto più del dovuto con gli indiani. Non ci hanno invitato qui, sai. Non c’è bisogno di essere vendicativi”.

I banditi, molti “più feroci degli indiani, senza le loro ragioni”, i Rangers, e gli Sceriffi: una violenza (la cui descrizione non viene risparmiata) spesso assurda e ingiustificata e una giustizia che va oltre la legittima difesa, a volte applicata senza alcuna autorità, senza alcuna stella.

I Cowboys, il loro duro lavoro, le fatiche, le paure, ma anche il senso del dovere, l’amicizia, i loro problemi con le donne.

Ecco, le donne, ricercate per il sesso (le prostitute nei saloon), ma anche sognate o rimpiante come l’amore di una vita.
“Be’, devo ammettere che combattere mi piace ancora. Aguzza l’ingegno. Il solo altro modo per aguzzarlo è parlare con le donne, e di solito è più pericoloso.”, sintetizza il solito Augustus McCrae.

E alcuni dei personaggi più riusciti del romanzo sono donne: indifese in un mondo violento, violate, non risparmiate dal dolore (“Tutto durava più a lungo del dovuto, oppure andava troppo in fretta. … Era logorante adattarsi ai diversi ritmi imposti dalla vita.” – detto di Clara, un’altra delle figure più riuscite), ma anche forti nello scegliere il loro destino, capaci di risollevarsi e continuare a sperare e curare (ancora di Clara: “Ma amava la luce splendida delle mattine nella prateria; nel corso degli anni le aveva risollevato il morale infinite volte, quando pareva che la terra e il freddo e la morte l’avrebbero annientata. Vedere la luce che si diffondeva lontano verso il Wyoming era la sua gioia. La riempiva di energia e di voglia di fare. E più di tutto aveva voglia di piantare fiori, fiori che sarebbero sbocciati in quella luce”).

E infine la natura, molte volte crudele: animali pericolosi quali serpenti, orsi, e orde di cavallette, fiumi impetuosi da attraversare, acquazzoni violenti, tempeste di sabbia (“Il sole sparì come se qualcuno ci avesse piazzato sopra un coperchio e per qualche minuto una pesante penombra avvolse le pianure”).
Eppure bellissima.
Come dopo un acquazzone: “Fu un acquazzone, non un vero temporale. Dopo una decina di minuti la pioggia si affievolì e presto piovigginava appena. Il sole era tramontato, ma a ovest si vedeva una striscia di cielo limpido sotto le nuvole, che si stavano disperdendo.
Poi la striscia si colorò di rosso. Quando le nuvole si furono disperse, comparve più in alto una striscia bianca, e sopra ancora una blu intenso, in cui brillava la stella della sera
”.

Molti personaggi, dunque, alcuni descritti con poche ‘pennellate’, altri più compiutamente, e storie a volte di poche pagine, altre che si dipanano per tutto il romanzo.

Personaggi e storie raccontati, come scrive Roberto Manassero, con una “prosa piana e raffinata, una attenzione ai particolari e ai pensieri laterali che rivela una dolcezza sempre presente per quanto mai rivendicata. McMurtry non ha solo una sensibilità rara per dialoghi e battute capaci di aprire ai pensieri dei suoi personaggi, ma possiede il dono di far sbocciare dal nulla parole folgoranti, sguardi improvvisi, illuminazioni”.

E con uno sguardo sulle vicende degli uomini e sulla storia del suo paese che Larry McMurtry ha voluto in qualche modo suggerire al lettore con la frase di T.K. Whipple posta all’inizio del romanzo:

"Tutta l’America si trova in fondo a una strada selvaggia, e il nostro passato non è morto ma vive ancora in noi. I nostri avi avevano la civiltà dentro; fuori la natura selvaggia.
Noi viviamo nella civiltà che loro hanno creato, ma in cuor nostro quel mondo selvaggio perdura.
Viviamo ciò che sognarono e ciò che loro vissero, noi lo sogniamo”.


Come dice efficacemente ancora Roberto Manassero, “il sogno inestinguibile di un mondo ormai perduto; uno sguardo offuscato, malinconico, eppure straordinariamente epico su uomini senza futuro; uno sguardo ancora, innegabilmente cinematografico”.

Per concludere: un romanzo bellissimo, una prosa che a me è piaciuta da subito, anche se qualcuno sottolinea che l’inizio è lento e occorre non lasciarsi scoraggiare dalle prime duecento pagine (e neanche dal numero di pagine complessivo).
Un romanzo che si fa apprezzare e amare capitolo dopo capitolo, fino ad essere combattuti tra il desiderio di proseguire per saperne di più ed il timore di arrivare alla fine.
Al punto che, una volta chiuso il libro, non mi è più sembrata troppo enfatica la frase riportata sul retro della sovracopertina:

“La riscoperta di un grande classico americano, un libro di culto che ha definito un genere: se si deve scegliere di leggere un solo western nella vita, questo è Lonesome Dove.