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“Globalizzazione” è una parola che compare nel discorso pubblico agli inizi degli anni Novanta. Un termine per dare ordine ad un nuovo modo di leggere la politica e l’economia, il rapporto tra i popoli e le culture. A molti, sin dall’inizio, il processo avviato sembrava magicamente destinato a risolvere i problemi del mondo. Altri invece (e tra questi Roberto Savio) intravvedevano nelle pieghe del processo le conseguenze pesanti per le vite concrete delle donne e degli uomini e con coraggio, ascoltando soprattutto i gemiti di chi pagava il peso di un’economia lasciata a sé senza una politica capace di indicare il bene comune, lavoravano per costruire “un altro mondo possibile”. (…) Ci spaventano tanti degli snodi critici che il mondo interconnesso in nessun “angolo” può trascurare e che questo Manuale tratta con sapienza e agilità, dall’aumento delle disuguaglianze, ai disastri ambientali, alla finanziarizzazione dell’economia, alle pandemie o, ancora, alle crisi delle democrazie. Eppure, globalizzazione significa anche sfida e possibilità, non solo paure. Diversamente dall’immagine uniforme e di omogeneizzazione creata dalle grandi compagnie di multinazionali, il McWorld, se andiamo appena più a fondo nelle questioni, anche spinose, che interrogando il presente globale, ci si rivela una continua produzione di differenze. Un’umanità in movimento come quella del “villaggio globale” ricrea mondi, ha potenzialmente nuovi strumenti con cui misurarsi e che può mettere a servizio e beneficio di tanti.