Bernardo di Chartres sosteneva che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l'acume della vista o l'altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla loro statura. Vale per la vita di ciascuno perché ognuno è figlio di una storia che lo precede. Vale anche per la vita delle comunità e delle associazioni che sono nutrite da donne e uomini che hanno tracciato solchi e aperto vie. Le ACLI di Bergamo sono debitrici nei riguardi di tantissimi che, in questi settantacinque anni di storia, hanno custodito e trasmesso la passione per Dio e per la storia. Perché, come amava ripetere Giovanni Bianchi, la nostra grande associazione popolare non è soltanto organizzazione, storia, personale politico, orizzonte di senso. E’ anche rapsodia quotidiana. Le tessere più disparate si congiungono nel suo mosaico secondo un disegno provvidenziale e lungo un filo che solo a posteriori è dato scorgere. La storia aclista è ricca certo di progetti e di iniziative ma anche di mille testimonianze di “santi minori” e di centinaia di grandi e credibili testimoni. Vincenzo Bonandrini, a venticinque anni dalla morte, è uno di questi. Uso il verbo al presente perché la bellezza e il valore di vicende come quelle di Vincenzo sanno parlare attraverso il tempo, perfino a coloro che non hanno avuto il dono o la possibilità dell’incontro. Perché parlano per loro i solchi tracciati e le vie aperte. Quante volte mi è capitato, in questi anni, di ritrovare, dentro l’azione di tanti aclisti bergamaschi, lo “stile” di Vincenzo! Fatto di ascolto e di cura dell’altro e del mondo che si abita. Permeato di un “noi”, intreccio fecondo di grandi e piccole storie comunitarie, di tante narrazioni. Chi l’ha conosciuto lo racconta così: capace di vedere nel particolare il senso del tutto. Di cogliere dentro l’accadere della cronaca le trame della storia. Artigiano di un “guardare profondo” e dunque esperto di quell’attenzione che, secondo Simone Weil, è più dell’ascolto ma, piuttosto, è la capacità di cogliere ciò che sta nascendo nell’altro. Non è un caso che “cura” e “curiosità” hanno la stessa radice etimologica. Chi vuole avere cura di qualcuno o di qualcosa deve anzitutto imparare ad essere curioso dell’altro, guardarlo con occhi diversi, scoprire ciò che a prima vista sembra invisibile, svelare l’incomprensibile. Che per Vincenzo significava essere attento più al processo che al prodotto, al volto più che al problema, alla profondità più che alla vastità. Per vivere in questo modo occorre essere – e credo sia la chiave per comprendere la storia di Vincenzo – uomini spirituali, capaci cioè di rimanere dentro le cose quotidiane, immersi nell’impegno e nella professione, con la fiducia che la vita è sotto il segno di una promessa. Consapevoli che, nonostante tutto, la storia del mondo e la storia di ogni uomo non sono insensate. Fidarsi di Dio cercando di fare bene l’uomo è ciò che Vincenzo ha testimoniato, con pazienza e tenacia, fino alla fine. Una consegna per ciascuno. Daniele Rocchetti Presidente delle ACLI di Bergamo.
Vincenzo Bonandrini
nasce a Casnigo (Bg) il 16 aprile 1944. Laureato in sociologia, inizia l'attività professionale nei servizi socio-sanitari della Valseriana, dove segue le attività formative e accompagna esperienze innovative sulla condizione degli adolescenti, dei giovani, della disabilità, del disagio. Nel 1981 è eletto Presidente provinciali delle Acli di Bergamo che, con lui, diventano riferimento per gruppi e associazioni di volontariato e per le prime esperienze di comunità di accoglienza e di cooperazione sociale. Concorre alla nascita dell'Associazione Carcere e Territorio e alla rielaborazione dei percorsi di lotta armata. Nel 1988 entra nella Presidenza nazionale delle Acli e assume la funzione della formazione, caratterizzandola per un forte legame con i territori e per un accompagnamento alla crescita delle risorse presenti. Nel 1991 lascia la Presidenza nazionale e diviene Presidente dell'Enaip Lombardia, che accompagna in importanti processi di innovazione. Nel 1993, profondamente toccato dalle stragi mafiose, sente l'esigenza di un'azione più diretta nella dimensione istituzionale: entra nella Giunta del suo Comune, diventa uno dei coordinatori provinciali del nascente Partito Popolare e il 27 marzo 1994 viene eletto Senatore della Repubblica. Muore a Casnigo il 19 maggio 1994.