I lunedì d'arte di Molte Fedi

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SBIRCIARE LA BELLEZZA 
di Rosella Ferrari

Sbirciare è un termine da bambini: sono loro che, curiosi, aprono piano una porta (un’anta, un coperchio, un cassetto...) per scoprire cosa c’è dietro. E di solito trovano tesori, perché tutto per i bambini può essere un tesoro davanti al quale sostare, gli occhi pieni di ammirazione.

Noi ora imitiamo i bambini: apriamo piano delle porte, sbirciamo all’interno e scopriamo dei tesori. Magari conosciuti, magari no. Forse soffermandoci ammirati su qualche particolare che non può sfuggire, perché è bellezza.



IN PICCIONAIA

Per scoprire il nostro “tesoro” di oggi, torniamo in Città Alta.

Dopo un’occhiata veloce alla Piazza Vecchia, imbocchiamo la Corsaröla in direzione Cittadella e dopo pochi passi ci fermiamo di fronte ad un portone, spesso chiuso. La scritta che troviamo proprio sulla porta ci dice che siamo davanti all’ingresso del Teatro Sociale di Bergamo.

Questo teatro ha una storia bella, che racconta molto dei bergamaschi. Quando, a inizio ‘800, i francesi decisero di trasferire dalla città al piano i luoghi del potere e dell’amministrazione, iniziarono, di fatto, la creazione di una nuova città, moderna e spaziosa.

È in questo momento che nasce la doppia denominazione: Città alta e Città bassa. Fino a quel momento, infatti, la “città” era solo quella sul colle, il resto erano i borghi. “Vado in città” o “scendo al borgo”, dicevano gli abitanti del tempo. Qualcuno lo dice ancora oggi (io, ad esempio…) Nella Città alta rimase il “potere” religioso: il Vescovo rimase qui, al Vescovado, accanto alla Cattedrale di S. Alessandro.


I bergamaschi hanno sempre amato il teatro e la lirica (”l’opera”, come dicevano un tempo) e nella nostra città ci sono sempre stati i teatri, oggi scomparsi. I primi, nel ‘600, erano teatri in legno, privati perché costruiti di solito all’interno delle case dei nobili o nelle loro corti. Nel ‘700, però, abbiamo notizia anche di teatri in muratura e pubblici, come il Teatro Cittadella, il Cerri nel Palazzo della Ragione, il Simone Mayr, costruito al posto della soppressa chiesa di san Cassiano sul colle del Gromo.


I borghi avevano a disposizione il Teatro Riccardi e il temporaneo Teatro della Fiera, che veniva usato solo in occasione della fiera di S. Alessandro (quindi tra l’ultima settimana di agosto e i primi giorni di settembre) e a Carnevale.  


A inizio ‘800, quando fu chiaro che la città nuova sarebbe diventata predominante rispetto a quella più antica, i nobili e i personaggi importanti della Città Alta decisero di dotarsi di un teatro vero, capace di competere col Riccardi. 54 di loro si tassarono e, con l’aiuto anche della gente, raccolsero il denaro sufficiente per acquistare e demolire le casupole malsane tra la Corsarola e il Palazzo del Podestà e far costruire al loro posto, su progetto di Leopoldo Pollack, molto ammirato ed apprezzato, un teatro che chiamarono, viste le sue origini, “Teatro della Società”.

Era un teatro molto elegante, con l’interno in stile francese, capace di 1300 posti tra platea e palchi, oltre a un loggione con posti in piedi.


Iniziato nel 1803, il nuovo teatro venne inaugurato con grande sfarzo nel 1808 e da allora sul suo palco si esibirono attori e cantanti e musicisti, con grande soddisfazione dei bergamaschi. Di tutti i bergamaschi. Infatti il teatro non era riservato ai nobili e ai ricchi, ma era stato previsto uno spazio anche per chi era ricco solo di passione e non di denaro.


Così nel loggione (familiarmente detto piccionaia) si davano appuntamento i melomani della Città Alta, che con pochi spiccioli potevano assistere, rigorosamente in piedi e dopo aver salito 4 piani di scale strette, alle rappresentazioni.


Erano, come sempre accade, i critici più severi. E se poteva accadere che gli eleganti frequentatori di palchi e platea non trovassero il coraggio di esprimere il proprio disappunto per qualche nota mal presa, da lassù non ci si faceva alcuno scrupolo: e non erano solo fischi e schiamazzi, a sottolineare l’errore, ma anche verdura e frutta lanciata sul palco. Come anche a Parma e in altri templi della lirica, anche qui il pubblico più temuto dai cantanti era quello della piccionaia.

Ma torniamo un attimo indietro, ai momenti che precedevano l’inizio della rappresentazione: dai pochi gradini accedevano all’elegante ingresso dame e signori, facendo sfoggio di abiti e accessori alla moda, scambiandosi saluti e convenevoli educati. Ci pare di sentire il loro brusio leggero, i gesti delicati delle mani guantate delle signore che salutavano con un cenno i conoscenti e gli inchini dei signori, magari per un garbato baciamano.

Capite bene che non era pensabile che anche “il popolino”, sia pure con gli abiti “della festa” potesse entrare da qui, mischiandosi con l’aristocrazia…

E così dobbiamo proseguire ancora qualche metro lungo la corsarola e imboccare la stradina sulla sinistra, alla quale pochi fanno caso: si chiama Vicolo della Ghiacciaia e un giorno vi racconterò perché.

Eccoci: siamo quasi arrivati al nostro tesoro di oggi.  

La piccola porta vecchia, ridipinta e con una nuovissima serratura di sicurezza, che oggi è l’ingresso laterale del teatro – quello “di servizio” – era allora l’accesso degli spettatori poveri: da qui si salivano gradini su gradini, fino ad arrivare esattamente sotto il tetto. Lì i più fortunati si accalcavano al centro, appoggiati alla balaustra in legno, mentre gli altri andavano ad occupare pian piano ogni singolo spazio disponibile.


È chiaro che, poveri o no, l’ingresso gratuito era fuori discussione: poco, magari, ma tutti dovevano pagare. E così era alla nostra meta di oggi, alla piccola nicchia a sinistra della porta, che si affacciavano, uno per volta, per pagare il loro biglietto d’ingresso.


Tutta la gente di Città alta è passata da qui, per godersi la musica che amava, in modo particolare quella di Donizetti. Applaudendo vigorosamente i cantanti all’altezza e fischiando impietosamente ogni piccola sbavatura.


Non si passa spesso, da qui. E anche chi ci passa magari non nota la piccola nicchia chiusa da uno sportellino di ferro che non viene aperto da tantissimi anni… Ma credo che ora qualcuno, magari tu che leggi, verrà a vedere. E avrà scoperto una piccolissima “cosa” in più, capace di sorprendere ancora oggi.