I lunedì d'arte di Molte Fedi

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SBIRCIARE LA BELLEZZA 
di Rosella Ferrari

Sbirciare è un termine da bambini: sono loro che, curiosi, aprono piano una porta (un’anta, un coperchio, un cassetto...) per scoprire cosa c’è dietro. E di solito trovano tesori, perché tutto per i bambini può essere un tesoro davanti al quale sostare, gli occhi pieni di ammirazione.

Noi ora imitiamo i bambini: apriamo piano delle porte, sbirciamo all’interno e scopriamo dei tesori. Magari conosciuti, magari no. Forse soffermandoci ammirati su qualche particolare che non può sfuggire, perché è bellezza.



 

UNA RUOTA CHE AMMONISCE

Il nostro “tesoro da sbirciare” di oggi non è poco conosciuto come quelli che abbiamo visto finora. Ma è talmente bello, interessante e raro che non potevo non proporvelo…

Per trovarlo dobbiamo andare, di nuovo, in Città Alta. Per la precisione in Piazza del Duomo. Ci fermiamo – ammirati – di fronte alla Cappella Colleoni, poi ci spostiamo a destra e varchiamo il cancello (aperto solo negli orari d’ufficio); costeggiamo la parete della Basilica di Santa Maria Maggiore (sopravvissuta alla distruzione delle sagrestie voluta da Bartolomeo Colleoni per far spazio al proprio mausoleo), saliamo la scala e arriviamo davanti a un bel portale in pietra sormontato dallo stemma di uno dei Vescovi di Bergamo, Pietro Lippomani.

Siamo arrivati davanti al portone d’ingresso agli Uffici della Curia Vescovile.


Appena entrati, ci fermiamo un istante per dar tempo ai nostri occhi di abituarsi alla penombra, poi la nostra attenzione viene attirata dalla statua di Papa Giovanni XXIII che sembra accogliere i visitatori, oltre che le persone e i sacerdoti che negli Uffici curiali operano ogni giorno.

Ora però vi chiedo di tornare all’ingresso e di guardarvi attorno: scoprirete – o riscoprirete - uno dei luoghi più affascinanti della nostra città, quella che viene propriamente definita “Aula Picta” ma che i bergamaschi chiamano più semplicemente “Aula della Curia”


Ci troviamo in un grande vano rettangolare diviso in due da un grande arco ribassato in pietra e notiamo subito che ogni spazio è ricoperto di affreschi.


Questo luogo è stato restituito, nella sua bellezza originaria, alla Chiesa di Bergamo e a tutti noi nel 1937, quando il Vescovo Bernareggi affidò all’ing. Luigi Angelini l’incarico di restaurare il grande spazio, fino ad allora destinato a uffici, e il vicino Tempietto di Santa Croce.


Iniziato lo smantellamento dei tramezzi che suddividevano lo spazio dell’aula in ambienti più piccoli, venne subito alla luce il grande arco; poi, iniziato il lavoro di scrostatura degli intonaci delle pareti, iniziarono ad emergere affreschi un po’ ovunque.

Erano affreschi medievali datati al XIII secolo, quasi tutti della stessa mano, quella di un frescante sconosciuto che da allora venne definito “maestro dell’Aula della Curia”.   

Gli affreschi si sviluppano soprattutto in un ciclo principale che racconta la storia della salvezza, dall’annunciazione fino a giudizio universale e sono di una bellezza e di un’immediatezza incredibili. Oltre al ciclo principale ci sono fregi, decorazioni, volti…si può scoprire un bestiario medievale affascinate, avendo il tempo di restare un po’.


Non posso illustrarveli, qui, questi affreschi meravigliosi…io riesco a parlare due ore filate, in questo luogo magico!


Vi accompagno quindi velocemente a scoprire il nostro tesoro di oggi: dall’ingresso, tenendo la sinistra, superate la stupenda nicchia con le immagini di s. Alessandro vessillifero a cavallo e dei due primi Vescovi di Bergamo, Narno e Viatore, poi superate l’arcone,  voltatevi e guardate l’immagine indicata dalla freccia (poco elegante, ma utile).  

Trovato. Guardiamolo bene, il nostro tesoro di oggi, perché è davvero molto interessante.


Si tratta di un’iconografia tipicamente medievale, quella della “ruota della fortuna” (come ne nostro caso , o della “ruota della vita”: di fatto, hanno lo stesso significato e la stessa “morale”, utilizzando due esempi diversi.


Nel caso della “ruota della vita” (ricordate, vero, che le nostre nonne ci dicevano che la vita è una ruota che gira?) l’immagine era composta da una ruota, appunto, sulla quale, di solito in corrispondenza dei punti cardinali, erano aggrappati un bambino, un giovane, un uomo adulto e un vecchio…ogni giorno si nasce, si cresce, si invecchia e si muore, inesorabilmente perché nessuno può fermare quella ruota.

Nel nostro caso invece abbiamo davanti la “ruota della fortuna”. Ed è proprio la Fortuna, raffigurata come una donna  indicata col suo nome, che regge la ruota e la fa girare, è lei che decide.


Anche sulla nostra ruota sono aggrappate delle persone, ma non sono diverse per età.

Lo vediamo bene guardando in alto: sopra la ruota è seduto un re, con tanto di scettro vegetale e corona: accanto a lui, purtroppo oggi quasi illeggibile, c’è la scritta in latino “REGNO”.


Sto regnando, ho il potere, io sono il re. La fortuna è mia
, pare dirci con quel suo atteggiamento sicuro e consapevole.


Eppure, a destra vediamo la parabola discendente di questa ruota: il nostro re (riconoscibile dai capelli rossi) ha perduto il trono e il potere: rimane aggrappato a quella ruota e ci dice “REGNAVI”, al passato. Regnai, non regno più


Sotto, lo stesso personaggio ha completato la sua discesa: “SUM SINE REGNO”, non ho più un regno. Non ho più nulla, né potere né gloria.


Ma poi la ruota continua il suo giro, ed ecco che nostro personaggio alza lo sguardo verso il trono e esclama “REGNABO”, regnerò.


Anche la fortuna, come la vita, è una ruota che gira, ci dice questa immagine.

La fortuna può sorriderci o voltarci le spalle, si usa dire. Non possiamo contare troppo su di lei.

Conviene sempre tenere conto del ciclo della vita: si nasce, si cresce, si invecchia e si muore, mentre qualcun altro nasce e poi cresce…

L’ineluttabilità della vita, che ci fa capire quanto sia importante riempire bene il tempo che ci è dato, senza aspettare che la fortuna ci sorrida o ci volti le spalle.