Cammino sinodale: appunti in corso d’opera

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Martedì 7 giugno 2022
Brunetto Salvarani
@SettimanaNews



A neppure un anno dall’avvio del Cammino sinodale in Italia, senza nessuna pretesa di completezza, ecco alcuni appunti sparsi, raccolti da un osservatorio quanto mai periferico, e non certo privilegiato.

«L’avvenimento ecclesiale più importante e strategico dopo il Concilio Vaticano II», lo definisce Piero Coda. Papa Francesco, che tanto ha insistito con la Chiesa italiana perché lo mettesse in agenda, lo considera decisivo per la vita e per la missione dei cristiani: «proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio».

Un impegno, quello connesso al Cammino sinodale, va detto onestamente, da far tremare i polsi, pur limitandoci al versante organizzativo: ma anche, e vorrei dire soprattutto, un’occasione preziosa, da cogliere e sfruttare appieno, che avrà bisogno da parte di tutti noi di grande pazienza, grande capacità di ascolto e grande umiltà. Imparare ad agire sinodalmente, da parte di laici, presbiteri, vescovi, non è per nulla facile. Soprattutto per la disabitudine di tutte le componenti, al riguardo.

Il Cammino sinodale, una non-notizia?

Per orientarci, tra le mani abbiamo però, dal 2013, una bussola non ancora sperimentata a fondo, il testo di Evangelii gaudium, che il papa ha scritto come mappa di una Chiesa capace di uscita. Eppure, a prima vista il Sinodo parrebbe una non-notizia: di Sinodo i media non hanno parlato, neppure tangenzialmente. Perché? Azzardo: non è che l’obiettivo non sia stato ancora chiarito a fondo? Varrebbe la pena di rifletterci…

La posta in gioco, peraltro, è davvero alta. Anche perché, almeno per ragioni anagrafiche, del prossimo cammino sinodale potrà sentirsi partecipe per l’ultima volta in un’esperienza ecclesiale di rilievo una generazione ancora in grado di fare riferimento al concilio Vaticano II con qualche cognizione di causa, avendone udito i racconti dai diretti protagonisti e respirato un po’ dell’atmosfera unica di quell’assise iniziata ormai quasi sei decenni fa. Una generazione che – forse – può essere ancora in grado di scaldarsi il cuore su temi (come le riforme ecclesiali) che alla stragrande maggioranza dei nostri giovani probabilmente appaiono a metà fra l’astruso e l’insensato: eppure, ovvio, il coinvolgimento di questi ultimi in qualche modo nel processo sinodale resta vitale.

Ma c’è di più, ovviamente, a complicare il quadro. Lo sappiamo, è stato sufficiente un minuscolo virus a inceppare la macchina, mettendo in luce inconsistenze e squilibri che erano già in atto, a tutti i livelli della nostra vita, personale, familiare e sociale. E la macchina ecclesiale non ha certo fatto eccezione.

Nel primo lockdown il granellino di sabbia detto Covid 19 ha interrotto la catena di trasmissione: ferme le celebrazioni, sospesi i catechismi, rinviate a data da destinarsi le somministrazioni dei sacramenti. Colpiti al cuore dell’anno liturgico, il triduo pasquale. Abbiamo provato la resistenza, e tentato la ripresa, rischiando peraltro la resa.

Certo, appena c’è stato uno spiraglio le parrocchie hanno recuperato le prime comunioni e le cresime arretrate, ripristinando la pastorale sacramentale: poco altro. Ma è difficile vedere oggi i ragazzi e i giovani alle nostre celebrazioni.

Il virus si sta incaricando anche di questo, di fare da spazzino. Se è vero che un terzo non è più tornato a messa (a dispetto della fame di eucaristia proclamata da una certa retorica ecclesiale), significa che questa interruzione sta facendo verità: l’adesione alla fede per tradizione ha i giorni contati. Papa Francesco sostiene che «peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla».

È dunque, sebbene a caro prezzo, un tempo di grazia, la fine di un mondo e, forse, se prendiamo sul serio questo tempo segnato dal Cammino sinodale, l’inaugurazione di una stagione nuova. Non tanto di una strategia nuova, ma di un nuovo cristianesimo e di una nuova Chiesa, niente di meno. Di una Chiesa messa alla prova non sulla tenuta delle sue strutture e dei suoi programmi, ma sulla sua capacità generativa. Sulla sua capacità di assumere in termini nuovi il compito che costituisce la sua identità: evangelizzare, rendere disponibile a tutti il vangelo del Regno di Dio.